Terre desolate (La Torre Nera III)
C’era una volta un treno a vapore, Charlie Cuiciu, che un giorno fu mandato in pensione per essere sostituito dalle più moderne motrici a diesel. Charlie Cuiciu finì così in una rimessa ad arrugginire in solitudine. La sua fiamma si spense e il povero treno conobbe un sentimento che non aveva mai esperito prima, quel sentimento che ci afferra quando siamo in lutto. Ma come in tutte le fiabe a lieto fine, i cocci vengono ricomposti: impietosito dalla triste fine del glorioso treno, il proprietario delle ferrovie decise di ridargli nuova vita creando un parco dei divertimenti, dove Charlie Cuiciu poté trasportare quei bambini che, in passato, lo avevano amato. Ancora oggi Charlie Ciuciu viaggia allegro sospinto dalle grida di decine di bimbi. Tutto è bene quel che finisce bene? Quasi. A chi possieda uno sguardo attento non sfuggirà un particolare: sul muso bombato di Charlie si cela un ghigno maligno, mentre sui volti dei bambini che si affacciano dai finestrini dei vagoni, nei loro occhi e nelle bocche spalancate, non c’è gioia, bensì terrore.
Perché vi ho raccontato questa storiella? Semplice, perché la ritroviamo (tratta da un libro illustrato) nel terzo libro della saga “La Torre Nera”, il cui titolo è piuttosto significativo: “The Waste Lands” (l’esergo che apre il romanzo riporta una citazione di T.S. Eliot). E questa storiella riassume piuttosto bene il tema principale della storia, che per l’appunto si dispiega entro una “terra desolata”.
Dagli anni Ottanta (quando uscì il primo libro della saga) a oggi, le terre desolate sono state raccontate in diversi modi: attraverso un’immaginario post-apocalittico, come in “La Strada” di McCarthy, oppure ludico (ma non per questo meno terrificante), come in “Drive-In” di Lansdale; ma per lo più, le terre desolate le ritroviamo in romanzi aderenti alla nostra realtà (che ne esce squartata, come nelle opere di Bret Easton Ellis). Per quanto riguarda il mondo della Torre Nera, abbiamo a che fare con una ambientazione fantastica, un universo parallelo al nostro e che al nostro è collegato da misteriose porte (tre di queste le abbiamo attraversate nel corso del secondo libro).
Con l’espressione “terra desolata” King intende un mondo che ha perduto le sue direttrici di senso. “Il mondo è andato avanti”, viene detto in continuazione sin dal primo libro della saga. Anche per Charlie Ciuciu il mondo è andato avanti, per cui ora egli si trova fuori posto, sorpassato, inutile, privo di senso. Non c’è differenza tra la rimessa buia in cui arrugginisce e il parco di divertimenti che funge da riserva: il vecchio treno è costretto a vivere ai margini di un mondo che non capisce e non lo capisce. Per questo motivo agli occhi attenti, non superficiali, i bambini che si affacciano dai finestrini dei vagoni appaiono terrorizzati.
Il mondo va avanti, e quando ciò accade le pratiche tradizionali perdono di significato, i vecchi dèi smettono di parlare, i segnavia secolari sono cancellati e non indicano alcuna direzione. Ernesto de Martino avrebbe parlato di “apocalisse culturale”: quando il mondo va avanti rimangono soltanto le macerie di un mondo che non c’è più — macerie di senso che condannano le persone rimaste indietro a una miseria esistenziale.
“Qualcosa di terribile aveva devastato e fuso la terra, senza dubbio lo stesso disastroso cataclisma che aveva fatto sprofondare quella parte di mondo. La superficie era accartocciata vetrificandosi in gobbe contorte e scure che non potevano definirsi colline e in crepacci profonde e pieghe che non potevano chiamarsi valli. Rari alberi che sembravano sbucati da un incubo protendevano verso il cielo rami deformati; per effetto dell’ingrandimento, sembrava che cercassero di afferrare i viaggiatori con brama da maniaci. Qua e là dalla superficie vetrosa del terreno spuntavano grosse condutture di ceramica. Alcune sembravano fuori uso, ma dentro ad altre c’erano bagliori di un’innaturale luce verdazzurra, come se nelle viscere della Terra lavorassero ancora forge e fornaci di dimensioni titaniche. […] Susannah, che aveva letto Tolkien, pensò: È quello che hanno visto Frodo e Sam quando sono arrivati al cuore di Mordor. Queste sono le voragini del Fato”.
In generale si ricorre al termine “nichilismo” per qualificare tale condizione: “Non è il nostro un eterno precipitare? E all’indietro, di fianco, in avanti, da tutti i lati? Esiste ancora un alto e un basso? Non stiamo forse vagando come attraverso un infinito nulla?” domanda l’uomo folle di Nietzsche nel descrivere la condizione esistenziale dell’età contemporanea.
Cosa accade a chi rimane indietro e non riesce a trovarsi in questo mondo “apocalittico”? Accade quanto descritto da McCarthy in “The Road”: una minoranza (è il caso degli abitanti del piccolo villaggio di Crocefiume) ha deciso di conservare il fuoco, ossia un lume di umanità, trattenendo nelle proprie mani i frammenti del vecchio mondo come reliquie, le quali, tuttavia, riescono soltanto a tenere viva la nostalgia per ciò che è andato perduto; la maggioranza ha preferito adattarsi alla catastrofe, degradandosi a uno stato bestiale fatto di violenza e sopraffazione (è il caso degli abitanti della folle città di Lud). Ci sarebbe poi una terza via: Catone l’Uticense si suicidò perché non poteva sopportare la fine della Repubblica (ovvero il suo orizzonte di senso) — e anche questa via a un certo punto viene imboccata.
ATTENZIONE SPOILER
Gli abitanti di Lud porranno fine alla loro esistenza attraverso un suicidio di massa: “Ma perché lo fanno?” domandò Jake. “Perché sono vissuti troppo a lungo nel cimitero dei loro progenitori e non ne possono più”, rispose Roland.
FINE SPOILER
Il mondo ha dunque perduto le sue direttrici. Ma Roland e i suoi compagni (Eddie, Susannah e Jake), sono riusciti a individuare due direttrici percorribili: una fisica e una morale (il riferimento a Kant sembra scontato, ma dubito che King lo avesse presente nel scrivere questa storia). La prima è un vettore energetico che ancora riesce a mantenere un minimo di ordine in questo mondo prossimo al collasso, la seconda l’abbiamo già considerata nella precedente nota: è il ka, o meglio il ka-tet (ossia il destino di gruppo).
Se nei primi due libri della “Torre Nera” Roland appariva simile a un Ahab che trascina con sé una ciurma costretta a piegarsi alla sua volontà, nel terzo libro i compagni del pistolero decidono unirsi a lui per abbracciare un destino comune, il ka-tet:
“Sto cercando di dirti semplicemente che vorrei che mi mollassi le orecchie!”
“Mollarti le orecchie?”
“Sì. Perché non è più necessario che mi trascini. Vengo di mia spontanea volontà. Tutti noi siamo con te spontaneamente. Se morissi nel sonno questo notte stessa, ti seppelliremmo e riprenderemmo la strada. Probabilmente non dureremmo a lungo, ma moriremmo sul sentiero del Vettore.”
Eddie afferma che seguiranno il ka non perché devono, ma perché vogliono. È una soluzione stoica: essi hanno compreso la razionalità del ka, ne hanno colto il senso, e in un mondo che ha perduto ogni direttrice una simile decisione si configura come una reazione all’assurdo. Il ka è, infatti, principio di direzione e di speranza. Ma è proprio qui che a livello narrativo salta agli occhi un (possibile) problema: il ka, il ka-tet del pistolero e dei suoi compagni, è anche un ingombrante deus ex machina che interviene a sistemare ogni cosa e a spiegare il motivo per cui i nostri eroi riescono sempre a sfangarla. A Nietzsche questo non sarebbe piaciuto (ma riconosco che potrebbe non essere un problema per altri lettori).
Inoltre, il ka pone un secondo problema (questo molto più interessante) che è di tipo etico. In parte lo abbiamo già considerato: se da un lato il ka offre uno scopo, e dunque nutre di senso l’individuo o il gruppo che lo segue, d’altra parte il ka esige che sia pagato un prezzo. Chi si vota a un dio, deve aspettarsi anche di dovergli fare un’offerta; e più il dio concede, più il dio pretende. E se gli abitanti del mondo della Torre Nera non hanno alcun dio che offra loro un senso (qualcosa di sacro per cui valga la pena di vivere e morire), il dio di Roland e compagni (il loro operatore di senso, il ka-tet che offre loro senso e direzione) impone un sacrificio. Roland lo aveva già compiuto nel primo libro, lasciando che Jake morisse; quindi nel secondo libro Roland era riuscito a ingannare il dio salvando la vita di Jack in seguito a un viaggio nel tempo (causando in tal modo un interessante paradosso temporale di cui dirò in seguito); ebbene, nel terzo libro la possibilità che il dio/ka-tet ripresenti il conto aleggia continuamente sulla testa del gruppo:
“Non mi avresti lasciato cadere questa volta?”
“No”, rispose Roland. “Né questa volta, né mai più.” Eppure, nell’oscurità profonda del suo cuore, pensò alla Torre Nera ed ebbe un dubbio.
Insomma, se col passaggio dal ka (di Roland) al ka-tet (di Roland, Eddie, Susannah e Jake) il cuore del pistolero si ammorbidisce, accogliendo quell’amore che solo può salvarlo dalla disperazione, rimane comunque la questione (altrettanto disperante) del sacrificio: se infatti il ka/ka-tet è superiore alla vita in quanto offre senso alla stessa vita (un senso senza il quale si vive da morti, come si è visto), allora la vita sarà sempre esposta al rischio di una messa a morte in nome di quel principio superiore. E se le cose stanno così, la domanda a cui il lettore è invitato a dare risposta è la seguente: ne vale comunque la pena? Immagino, o almeno spero, che nei successivi libri Stephen King ci darà la sua, di risposta.
Prima di chiudere questa lunga nota, esporrò brevemente il paradosso temporale a cui ho accennato poco sopra. In “Ritorno al futuro” quando si torna indietro nel tempo e si cambia un avvenimento, viene a crearsi una linea temporale alternativa a quella originale. Si tratta di due universi paralleli che non comunicano tra loro. Una soluzione analoga King l’ha adottata in “22.11.63” (vedi qui). In “Terre desolate” si opta per una versione differente e decisamente originale: il cambiamento crea una linea alternativa che convive insieme a quella originale. Esse si sovrappongono e sono entrambe “visibili” all’interno della coscienza dei soggetti che sono stati coinvolti in quel cambiamento. Mi spiego con un esempio:
ATTENZIONE SPOILER
Immaginate di tornare indietro nel tempo, di operare un cambiamento importante (ad esempio, salvate la vita di qualcuno che nella linea temporale originale avevate lasciato morire); ora immaginate di tornare nel presente e immaginate che da questo momento vivete sapendo che quella persona è morta e, allo stesso tempo, sapendo che quella persona non è morta. Non solo, la medesima cosa vale per la persona che avete salvato, la quale sa di essere viva e, allo stesso tempo, sa di essere morta. Che cosa accadrebbe in questo caso? Evidentemente, entrambi finireste col diventare pazzi, a meno che non troviate un modo per risolvere il paradosso. Ed è quello che accade in “Terre desolate”.
FINE SPOILER
29/06/2025
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