Le acque del Nord


"Per un momento Sunmer prova un grande sollievo per questa conclusione così evidente e sensata, di facile e veloce intuizione, ma ben presto, ancor prima di riuscire a godersi la nuova sensazione, gli viene in mente che la sua è una libertà vuota, la libertà di un vagabondo o di una bestia. Se lui è libero, nel suo stato attuale, allora anche il tavolo di legno che ha davanti è libero, e anche il bicchiere vuoto. E cosa vuol dire libertà? Certe parole sono sottili come fogli di carta, si sbriciolano e si strappano sotto la minima pressione. Contano solo le azioni, pensa per la decimillesima volta, solo gli eventi. Tutto il resto è vapore e nebbia. Ordina un altro bicchiere e si lecca le labbra. Pensare troppo è un grave errore, ricorda a se stesso, un grave errore. La vita non è decifrabile, non si può assoggettarla a forza di chiacchiere, occorre viverla, sopravviverla, in tutti i modi possibili".

Questo romanzo di Ian McGuire narra la storia di una baleniera diretta verso il mare del Nord (in seguito, a tre quarti del libro, la vicenda si sposterà nelle terre artiche). L'anno è il 1859 (lo stesso in cui esce "L'origine delle specie" di Darwin). Accanto a una massa anonima (la ciurma) che resta sullo sfondo, vi sono due tipi di personaggi a muovere i fili di questa storia (o a essere mossi da questa): quelli completamente dediti all'azione e quelli dediti alla riflessione. Si tratta di personaggi concettuali, e dunque in un certo senso sono astratti, per quando possano apparire reali, convincenti. I personaggi-azione sono disegnati quasi fossero privi di coscienza, senza scrupoli e moralità (qui è del tutto assente l'impulso eroico, diretto verso alti ideali); mentre per quanto riguarda i personaggi-riflessivi, ve ne sono alcuni di elevata spiritualità, ad esempio il ramponiere Otto (che si rifà alla concezione religiosa di Swedenborg). 

Il protagonista, un medico irlandese di nome Patrick Sumner, che si è imbarcato per una paga misera, è un tipo-riflessivo (che presto dovrà imparare ad agire) e si trova nel mezzo tra la spiritualità degli uni e l'immoralità degli altri, rifuggendo entrambe. È uno scettico che mal sopporta i discorsi religiosi, colmi di disperata speranza, perché sa che nel mondo non vi è speranza alcuna. E tuttavia... non si arrende al male, non lo asseconda, non piega la testa ad esso. Porta con sé i segni delle colpe passate, che non si sradicano dalla sua memoria (è lui stesso a non volerle sradicate, al punto che per fissarle con più forza conserva alcuni oggetti, un anello e una lettera, che sono legati a quel passato). Ha un'anima, eppure non crede nell'anima; testimone vivente che è possibile una morale atea, materialistica. 

Questo romanzo è una sorta di anti-Moby Dick; non tanto perché siamo di fronte a un racconto come "Il vecchio e il mare" (che narra l'avventura solitaria di un individuo completamente rimesso a se stesso, abbandonato e isolato nella propria fragilità, che nulla chiede al mare se non del pesce per poter mangiare); ma piuttosto perché questa ciurma non è guidata da un visionario à la Ahab, un folle, un idealista che per realizzare il proprio sogno è disposto a raggiungere l'inferno e combattere in esso contro i propri demoni, senza preoccuparsi di trascinare con sé un manipolo di uomini a lui fedeli. Si tratta di un anti-Moby Dick perché questa ciurma è guidata da profittatori, da uomini spregevoli, ispirati solo dal desiderio di ricchezza materiale; comandanti che recano con sé il proprio inferno e infettano chiunque si trovi loro vicino (cosa che, negli spazi ristretti di una nave, non è propriamente una benedizione). Dovendo fare un collegamento con altri universi narrativi simili (dal punto di vista morale e ambientale), lo avvicinerei a "Cuore di tenebra" di Conrad e "Acque morte" di Maugham (il tutto trasportato nei ghiacci del nord, chiaramente).

La scrittura è epica, il registro è alto (un plauso al traduttore Andrea Sirotti), l'autore si è documentato e sa scrivere con precisione tecnica molti aspetti della vita marinaresca, della pratica venatoria (sa descrivere come si uccidono balene, foche, orsi, e come si tratta il loro corpo per ricavarne carne, olio, pelli) e medica (sa descrivere operazioni chirurgiche e cure). Il tutto calato in una realtà ottocentesca. La descrizione degli ambienti (il mare del nord e le terre artiche) è resa con la stessa abilità di un pittore; tant'è che mi sono detto: se solo Lovecraft nello scrivere "Le montagne della follia" avesse avuto metà della capacità di questo Ian McGuire, chissà che capolavoro ne sarebbe venuto fuori! In alcuni momenti mi sono venute in mente le scene di "Revenant", e in effetti questo romanzo si presta molto ad essere portato sul grande schermo (ma dubito che accadrà: l'immaginario al quale ricorre non va così di moda oggigiorno).

Quindi mi è piaciuto? Sì, ma non mi ha preso più di tanto. Una lettura piacevole, che ha suscitato in me riflessioni su cui però mi ero già soffermato in passato. Soprattutto, questo libro ha acceso ricordi (questo sì è stato molto più piacevole) che mi hanno riportato (a volte in modo del tutto arbitrario) a letture di libri che ho amato intensamente (appunto: Moby Dick, Il vecchio e il mare, Le montagne della follia, Cuore di tenebra).


(29/08/2018)

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