Gli adulteranti (o dell’incapacità di diventare adulti)


Questo romanzo (dal titolo orribile) dello scrittore inglese Dunthorne, si concentra sul difficile mestiere di diventare adulti e su un fallimento che sembra essere generazionale.

Il protagonista, Ray, è un trentacinquenne che di mestiere fa il giornalista freelance delle nuove tecnologie. Ha un lavoro precario e la sua scrittura è destinata a essere pubblicata su riviste online. Non si sa se abbia alle spalle aspirazioni frustrate. Sappiamo soltanto che è sposato e che sua moglie, Garthene, un'infermiera, aspetta un figlio. Hanno degli amici che non sono tanto diversi da lui, ma, diversamente da lui, il loro destino non prevede una sconfitta palese, almeno nel momento in cui è ambientata la storia. Siamo a Londra, è il 2011.

Ray è un tipo allegro, nutre un'ottimistica fiducia nel presente; ma in lui è assente ogni progettualità che lo proietti verso il futuro, al di là di un unico cruccio: comprare una casa per la sua famiglia. I soldi messi da parte non sono sufficienti, ma anche questo sembra non essere un problema dominante. In qualche modo lui e Garthene ce la faranno, pensa. L'allegria di Ray si rivela ben presto conseguenza del suo carattere superficiale, della sua incapacità di affrontare con serietà l'esistenza. Dalla bocca di Ray escono in continuazione battute e moti di spirito (auto)ironici, mentre la sua inclinazione psicologica è quella sdrammatizzare le difficoltà che di volta in volta incontra. Anche quando non ci sarebbe nulla da scherzare (ad esempio quando finisce in commissariato per rendere conto delle sue azioni durante i disordini londinesi del 2011) non riesce a fare a meno di buttarla sul ridere.

In passato ho presentato dei libri con dei protagonisti che tentano di smarcarsi dal modello di vita borghese; ma qui siamo su un altro livello. Ray non rifiuta il modello borghese (ricordiamoci del suo desiderio di comprare una casetta decente e di sistemarsi); semplicemente non si assume la piena responsabilità di realizzare questo modesto progetto. Non è né un ribelle, né una persona che, integrandosi col sistema, riesce a trovare il successo: non lo è per pigrizia, per mancanza di serietà, per la sua inclinazione a "galleggiare" e di lasciarsi trasportare dagli eventi (che pure gli hanno "regalato" un figlio). Il suo motto sembra essere: "fin qui tutto bene". Finché non inizia ad andare tutto male.

C'è una scena che rivela questa mancanza di serietà. A un certo punto Ray e Garthene vanno a stare qualche giorno nella casa dei genitori di lui (per fuggire da una Londra in fiamme), i quali vivono in una piccola cittadina della provincia inglese. Qui Ray scopre che i genitori stanno ospitando una violinista sudcoreana, una ragazzina dall'enorme talento che, evidentemente, sta sacrificando ogni cosa per realizzare il proprio sogno. Ecco cosa pensa Ray quando la ascolta suonare per la prima volta:

"Avevamo di fronte una ragazza che, da quel che potevo sapere, non aveva alcuna esperienza della vita. Era molto probabile che non si fosse mai innamorata, né che avesse mai fatto del sesso, o sofferto per amore, o visto morire qualcuno, o preso un pugno in faccia. Eppure sembrava conoscere l'essenza della tristezza, comprenderla più profondamente di me. E la mia città stava bruciando. Sul serio, non metaforicamente. La mia vita era in fiamme, fiamme vere".

Ebbene, qui Ray avrebbe la possibilità di riflettere sul proprio rapporto con l'esistenza, sulla sua attitudine a galleggiare, a temporeggiare, a evitare, da bravo piccolo borghese qual è, di immergersi nelle profondità della vita, con tutti i suoi orrori e i suoi carichi di "tristezze". Ma niente, si stupisce soltanto dell'intensità dell'esecuzione della giovane violinista e tutto finisce lì. Ray e Garthene tornano a Londra, e lui continua ad affrontare i vari problemi che, quasi ci fosse un meccanismo a orologeria, iniziano ad accumularsi ed esplodere davanti a lui. Ha sempre la possibilità di fare qualche battuta e sperare che l'incendio (letterale e metaforico) si spenga da sé. Ray non è un eroe sconfitto, ma un integrato sconfitto; un ragazzino trentacinquenne che, pur accettando di vivere nella società senza ribellarsi, non riesce a fare quello che la società pretende da lui: diventare adulto.

Sul senso del bruttissimo titolo di questo romanzo (Gli adulteranti) non dico molto per non rovinare la lettura. Concludo dunque dicendo che si tratta di un libro breve (183 pagine) che si legge velocemente, anche grazie alla scrittura brillante dell'autore. Dovesse uscire qualcos'altro di Dunthorne, lo leggerò di certo.


(19/07/2019)

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