La chiamata dei tre (La Torre Nera II)
Immaginate di aprire una porta, oltrepassarla e di trovarvi nella testa di una persona: vedete quello che vede lei, identica soggettiva, come se i suoi occhi fossero i vostri. Quindi vedete le sue mani che afferrano oggetti, come se fossero le vostre mani (con la differenza che non le riconoscete come vostre perché, beh, sono diverse: appartengono a un’altra persona) e immaginate che a un certo punto troviate il modo di poterle controllare, sostituendo la vostra volontà a quella del suo legittimo proprietario. Vi ricorda qualcosa? Come dite? Il film “Essere John Malkovich”? Bene! O quasi: in realtà sto parlando de “La chiamata dei tre”, il secondo libro della saga “La Torre Nera” di Stephen King, pubblicato nel 1987, ossia dodici anni prima dell’uscita del film di Jonze/Kaufman.
Un passo indietro: avevamo lasciato il pistolero Roland al termine di un lungo viaggio attraverso un deserto. Nel primo libro c’è una rarefattezza di eventi che mi aveva lasciato insoddisfatto. Solo una interminabile marcia (più incolore de “La lunga marcia”, altro romanzo di King), rotta da un unico evento drammatico: il sacrificio compiuto da Roland. Nella precedente nota, avevo fissato un paio di punti che in quel momento non potevo verificare: l’ipotesi che il pistolero fosse una sorta di Ahab che naviga (in un mare sabbioso) alla ricerca del suo leviatano (la Torre Nera) senza essere sostenuto dall’amore; e che (secondo punto) questa assenza di amore facesse di lui un Abramo “zoppo” (come Edipo) che sacrifica il figlio Isacco determinando così la propria dannazione. Il secondo libro ha confermato le mie ipotesi? Ne parlerò tra poco.
Breve parentesi: in “Misery” Stephen King ci suggerisce che un buon romanzo di successo (si parla di letteratura pop) è quello che ti incolla alle pagine e ti costringe ad andare avanti perché devi scoprire come va a finire. Quasi tutti i romanzi del Re sono in tal senso delle formidabili trappole: quando ci entri non riesci ad uscirne finché non sei arrivato all’ultima pagina (salvo poi dover procurarti un altro romanzo di King e scoprire in tal modo che uscirne non è così semplice). Questo meccanismo del “devo scoprire come va a finire” (reso possibile non solo da colpi di scena inseriti ad arte, ma anche da un ritmo di scrittura irresistibile che ti trascina riga dopo riga, pagina dopo pagina); ebbene, questo meccanismo non l’ho trovato nel primo libro. Nel secondo, invece, entra in azione sin dal prologo per non mollarti più. È come se “L’ultimo cavaliere” fungesse da allestimento della scena e caratterizzazione del protagonista in vista della successiva messa in moto degli eventi. Chiusa parentesi.
Veniamo dunque alle ipotesi che avevo fissato al termine della lettura de “L’ultimo cavaliere”. Per quanto riguarda la seconda, beh, nel “Tema” che apre “La chiamata dei tre” viene detto chiaramente: Roland ha sacrificato il suo Isacco. Quindi il caso è chiuso? No, perché King inserisce delle varianti che complicano il rapporto tra soggetto sacrificante e oggetto sacrificato. (Preciserò meglio questo punto dopo, sotto il disclaimer “attenzione spoiler”.) Per quanto riguarda la prima ipotesi, credo di poter confermare: almeno fino a questo momento, Roland è un Ahab che è disposto a tutto pur di raggiungere il proprio obiettivo e che trascina con sé una ciurma il cui destino è subordinato al destino del protagonista.
Il termine “destino” non lo utilizzo a caso: esso ricorre più volte nel romanzo, sebbene venga reso con la parola “ka” (“Che cos’è il ka?” “Qui da noi significa dovere o destino o, volgarmente, il luogo dove si deve andare”). Roland è un centro di gravità narrativa: tutto ruota intorno a lui, quasi fosse un magnete; ogni cosa segue il ka, il destino che lo vede protagonista.
Consideriamo dunque Ahab e la sua nave (che non è altro che l’estensione del suo spirito demoniaco): la ciurma si trova sulla sua nave e tutto quello che accade ai membri della ciurma accade perché si trovano sulla nave di Ahab e Ahab ha un solo obiettivo: catturare Moby Dick. E se fai parte della ciurma, per quanto tu possa ritenerti libero e artefice della tua fortuna, per quanto tu possa credere di stare vivendo la tua personale avventura, in realtà stai vivendo l’avventura di Ahab — anche quando Ahab è fuori scena, chiuso nella sua cabina e nessuno sa che cosa stia facendo.
Ma da chi è composta la ciurma di Roland? Si tratta dei “tre” richiamati nel titolo, di cui parlerò tra poco. Possiamo a questo punto ricollegarci all’idea di entrare nella testa di una persona, perché è questo che fa il pistolero nel corso de “La chiamata dei tre”: egli deve attraversare tre porte che si aprono sulla mente di altrettanti individui, quindi assumerne il controllo e portarli nel proprio mondo. Perché? Perché gli serviranno per giungere alla Torre Nera. Perché così vuole il ka.
Ma chi sono questi tre? Ebbene, qui abbiamo il primo colpo di scena, perché si tratta di persone che vivono nel nostro mondo: un eroinomane che al momento dell’aggancio viaggia su un aereo con addosso due chili di eroina in attesa di atterrare al JFK di New York; una donna che si muove in carrozzella e soffre di schizofrenia (è Odetta ma anche Detta; la prima una ricca e sin troppo affabile imprenditrice afroamericana, la seconda una sboccata cleptomane che odia i bianchi, ancor più se sono pistoleri); un commercialista newyorkese che nel tempo libero uccide persone scelte a caso, spingendole sotto una macchina di passaggio o sui binari della metropolitana.
Nella nota precedente, si è detto che Roland, contro il precetto dantesco (“Convien che la mente si mova, amando”), si muove senza essere sorretto dall’amore, o meglio, che Roland è disposto a sacrificare l’amore (di cui è comunque capace) pur di raggiungere il proprio obiettivo, la Torre Nera. Questa falla nella “nave” del pistolero è messa a fuoco in più occasioni: “Se uccidi ciò che ami, sei dannato per sempre”. E ancora:
“Se hai sacrificato il cuore per la Torre, Roland, hai già perso. Una creatura senza cuore è una creatura senza amore e una creatura senza amore è una bestia. Essere bestia è forse sopportabile, anche se l’uomo che si sa in tal modo trasformato sicuramente avrebbe da pagare un prezzo infernale alla fine; ma che cosa accadrà se tu dovessi raggiungere la tua meta? Che cosa accadrà se, privo di cuore, tu dovessi affrontare e sconfiggere la Torre Nera? Se non ci fossero che tenebre nel tuo cuore, che cosa potresti fare se non degenerare da bestia a mostro? Raggiungere il tuo scopo ormai ridotto a bestia sarebbe solo amaramente comico, come guardare un elefante sotto una lente di ingrandimento. Ma raggiungere il tuo scopo ridotto a mostro…”
A questo punto, possiamo chiederlo: che cosa è la Torre Nera? Nessuno lo sa con certezza. Ma Eddie, l’(ex)eroinomane, ci suggerisce qualcosa: anche lui aveva una Torre, tuttavia era bianca (la droga); e ci dice che quella Torre gli ha ucciso il fratello e che molto probabilmente avrebbe ucciso anche lui, se il pistolero non lo avesse trascinato nel suo mondo. Dunque, la Torre potrebbe essere ciò a cui si riferiva David Foster Wallace nel suo celebre discorso al Kenyon College: un Dio a cui ci sottomettiamo e sacrifichiamo noi stessi, consumandoci; non una divinità che dà vita, ma una forza magnetica che piano piano ce la toglie.
Dunque, Roland è dannato perché ha sacrificato il suo cuore a una divinità che divora amore e vita. E tuttavia, se l’amore di Roland è a rischio, c’è amore nella sua ciurma: c’è in Eddie (l’ex eroinomane) e in Odetta (non in Detta). Forse basterà questo amore a rattoppare la falla nella nave del pistolero? Forse il ka prevede una redenzione? Le parole di Roland sembrano suggerirlo, o comunque offrono una speranza: “Io sono già dannato. Ma forse anche chi è dannato può essere salvato”.
La risposta a queste domande arriverà nei prossimi libri (ne mancano altri cinque). Staremo a vedere. La mia nota può dunque concludersi qui (lo so, non ho detto molto riguardo la storia, che si dispiega interamente nella ricerca delle tre porte e negli eventi rocamboleschi che accadono quando Roland passa nel nostro mondo), ma, per chi volesse andare oltre, c’è un’ultima cosa da dire riguardo alla redenzione che attraversa le pagine de “La chiamata dei tre”. Tuttavia quello che segue è uno spoiler bello e buono. Quindi…
ATTENZIONE SPOILER!
Nel primo libro, Roland sacrifica la vita di un ragazzino durante l’inseguimento di uno stregone che potrebbe condurli alla Torre Nera. Il ragazzino in questione è Jake, il quale arriva nel mondo del pistolero in seguito a un tragico incidente. Un giorno Jake si trova sul bordo di un marciapiede, a New York, quando uno sconosciuto lo spinge sotto un’auto di passaggio, uccidendolo. Il trapasso lo porta dunque nel mondo di Roland, il quale lo prende con sé, offrendogli protezione, fino al momento in cui il pistolero deve decidere se salvare Jake oppure continuare l’inseguimento. Roland opta per inseguire lo stregone, facendo sì che Jake muoia una seconda volta.
Ebbene, ne “La chiamata dei tre” Roland varca l’ultima porta ed entra così nella testa del commercialista Mort, il tizio che spinse Jake sotto l’automobile. Non solo, Roland fa il suo ingresso nella vita di Mort proprio un attimo prima di questo fatto e riesce a trovare il tempo di salvare la vita del ragazzino. Così, avendo evitato la “prima morte” di Jake, Roland riesce a redimersi dal sacrificio commesso in precedenza. È forse per questo motivo che “anche i dannati possono essere salvati”? Lo scopriremo solo leggendo!
PS. Sopra ho presentato i tre che formano la ciurma di Roland, includendovi Mort (oltre a Eddie e Odetta/Detta). È vero che anche questo personaggio si trova costretto a piegarsi al ka del pistolero, e lo fa con esiti tragici (morirà male), ma in realtà il terzo personaggio che si unisce alla ciurma è Susannah. E chi diavolo è Susannah? Altri non è che Odetta (il cui nome completo è Odetta Susannah Holmes). Cioè? Si è detto che Odetta è una donna estremamente affabile, gentile, ma anche vulnerabile, mentre Detta è violenta, un animale selvaggio e intelligente che agisce ferocemente per sopravvivere in un mondo a lei ostile. Ebbene, non dico né in che modo Detta ha iniziato a prendere forma nella mente di Odetta e nemmeno in che modo Odetta riuscirà a riconoscere Detta e a integrarla nella propria vita; dico solo che grazie a questa unione Odetta si trasformerà, diventando più determinata, decisa, capace di affrontare un mondo nuovo, quello di Roland, in cui per vivere occorre saper sparare (in senso figurato e letterale). D’altra parte, Calvino ce lo aveva già insegnato: il Visconte sano non è Visconte dimezzato (la sua parte buona separata da quella cattiva), bensì è il Visconte intero.
09/06/2025
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