Vorrh, ovvero l’eterna lotta tra Civitas e Silva
Quando leggiamo un libro, lo facciamo sempre attraverso lenti che abbiamo cesellato nel tempo, grazie alle nostre esperienze personali e, tra le altre cose, alle nostre letture. Perché questa premessa? Perché la prima delle due lenti che mi hanno permesso di mettere a fuoco il romanzo qui recensito è un saggio che ho letto di recente: Visibilmente crudeli. Malviventi, persone sospette e gente qualunque dal Medioevo all’Età moderna di Giacomo Todeschini (Il Mulino). Nel primo capitolo di questo saggio (che consiglio vivamente) c’è un paragrafo (il secondo, intitolato La città e il bosco) che analizza il rapporto tra civitas e silva — un rapporto centrale nell’immaginario medievale.
La seconda lente alla quale ho fatto ricorso è quella della vasta letteratura sul “sacro”, che ha occupato per anni il mio interesse. Se non sapessi che il romanzo di cui parlerò tra poco si regge su molteplici piani di significato (gran parte dei quali so di non aver colto, per mancanza di lenti adatte), lo definirei una monumentale opera narrativa sul sacro. Di certo, non è questo — non è soltanto questo. Credo tuttavia che le due lenti impiegate (civitas/silva e sacro) possano restituire almeno in parte il senso di questo romanzo. Ma veniamo al testo.
Nel primo volume della trilogia di Brian Catling, Vorrh (Safarà, 2021), tutto ruota attorno a una soglia. Da una parte, la città europea di Essenwald, trapiantata pietra su pietra nel cuore dell’Africa; dall’altra, la foresta del Vorrh, un’entità vegetale primordiale che non può essere cartografata, conosciuta o dominata. La tensione tra questi due poli è il motore dell’intero romanzo e richiama, come detto, una delle grandi opposizioni simboliche della cultura medievale: civitas vs silva.
Nel Medioevo la civitas non è solo uno spazio urbano: è l’ordine umano, la regola sociale, la memoria storica, la liturgia comunitaria. È ciò che l’uomo costruisce per contenere il caos. La silva, al contrario, è il territorio dell’alterità: lo spazio dove l’identità si dissolve, dove la Legge non arriva, dove sopravvivono potenze anteriori all’ordine cristiano. La foresta medievale è insieme minaccia e seduzione: uno spazio liminale, iniziatico, popolato da forze che la ragione non riesce a domesticare.
Catling riprende e amplifica questa dialettica. Essenwald incarna una modernità arrogante, coloniale, convinta che tutto possa essere regolato o sfruttato: è la civitas in versione industriale, fatta di profitto, schiavitù e genealogie — una civitas con il suo catalogo di “infami”, stilato secondo la logistica della separazione (noi/loro), a conferma del fatto che i buoni sono quelli che decidono chi sono i cattivi*. Il Vorrh, invece, porta la silva a un livello surreale: non è semplicemente un bosco, ma uno spazio fuori dal tempo lineare, dove la memoria si frantuma, i corpi si trasformano, l’identità si disperde. Un luogo che risucchia, diffonde, confonde.
Lungi dall’essere un semplice “caos naturale” contrapposto all’ordine umano, il Vorrh può essere interpretato come una potenza sacra. Esso richiama ciò che Rudolf Otto definiva numinoso: un mysterium tremendum et fascinans che attrae e terrorizza senza offrire significato redentivo. Nel Vorrh si entra come nelle antiche ierofanie descritte da Eliade, attraverso le quali il sacro si manifesta rivelando una realtà che supera per intensità quella profana. E, come in Bataille, il sacro qui è eccesso: energia che trabocca, forza informale che consuma l’individuo e ne disfa le strutture.
Attribuire alla foresta una valenza “malvagia” sarebbe dunque riduttivo. Il Vorrh non è male: è ciò che esiste prima che la distinzione tra bene e male abbia senso. È una potenza primordiale, amorale, indifferente all’uomo, ma capace di mostrare la fragilità delle sue pretese di ordine. Il male — violenza, sfruttamento, dominio — nasce piuttosto nella civitas, dalla volontà umana di colonizzare e normare ciò che non comprende.
Attraversare il Vorrh, come accade ai personaggi di Catling, significa uscire dall’ordine della città ed entrare nel luogo del sacro originario, accettando il rischio della metamorfosi o della dissoluzione. È un viaggio iniziatico filtrato attraverso il surrealismo, l’onirico e il perturbante.
Vorrh, letto attraverso la lente civitas/silva e quella del sacro, diventa allora un romanzo sul limite estremo dell’umano: su ciò che resta quando la città vacilla e quando il soggetto moderno incontra l’alterità radicale. Una foresta che non è nemica, ma alterità assoluta; una città che non è civilizzatrice, ma fragile maschera; e tra le due, l’essere umano, costretto a riconoscere che ciò che più teme è ciò che più profondamente lo costituisce.
Concludo questa nota con una menzione: Catling è anche pittore, e la sua scrittura lo rivela attraverso uno stile fortemente visivo — ogni pagina sembra una tavola illustrata, fatta di parole che si condensano in immagini vividissime. Al tempo stesso, la narrazione non mira a costruire una trama capace di trascinare il lettore più per la storia che per le immagini. Vorrh non obbedisce, insomma, alla “regola d’oro” di Stephen King, secondo cui un buon romanzo è quello che ti incolla alle pagine perché devi sapere come va a finire — ed è anche per questo che lascerò passare qualche mese prima di affrontare i successivi volumi della trilogia.
* I buoni sono quelli che decidono chi sono i cattivi. A riprova di ciò, segnalo un momento intenso, quello in cui Ishmael, un ciclope che per tutta la sua vita è vissuto nascosto in un palazzo della città, decide di farsi operare per aggiungere un secondo occhio: egli non vuole più essere visto come un mostro dagli abitanti di Essenwald. E a quel punto, lo sciamano che potrebbe aiutarlo, osserva: “Scegli perciò di essere come quelli che ti guardano nel modo sbagliato?”
16/11/2025

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