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Il comunista

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“Tenetelo presente: il partito non è fuori di noi, è noi, ciò che noi siamo dall’animale in su. Dalla pancia in su. Il partito ci comanda? È la nostra coscienza che ci comanda”. L’onorevole Ferranini, il protagonista di questo romanzo, scritto da Guido Morselli tra il 1964 e il 1965, si trova catapultato dalla provincia modenese a Roma, dopo aver vinto le elezioni sotto il simbolo del PCI e aver messo piede in Parlamento (il “chiacchierificio”, come lo chiama Ferranini, uomo votato all’azione, alla lotta). Il nostro comunista vive un’esistenza in linea con i propri principi, che sono poi i principi del partito. Si trova integrato nelle parole sopra riportate: in lui è il partito e il partito è la coscienza che lo comanda. Finché, un giorno, emerge entro la sua coscienza una bolla che non si integra con l’ortodossia, rivelando che in fondo la sua coscienza è semplicemente sua. Questa bolla ha la forma di una idea pericolosa: l’alienazione, che caratterizza il sistema capitalistico, non ...

Dissipatio H.G.

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Appena finito di leggere “Dissipatio H.G.” di Guido Morselli. Per carità, bello, ma mi è sembrato più un saggio filosofico (à la Camus) camuffato da racconto. E mi chiedo come avrebbe potuto essere se lo avesse scritto Saramago (lo so, domande di questo tipo non hanno senso). Ci sono diversi passi interessanti, ma dovendo sceglierne uno da riportare qui, opterei per questo, che sembra descrivere fedelmente l’atteggiamento che una buona fetta della popolazione occidentale sta assumendo nei confronti di una sempre più vicina catastrofe ambientale:  (Per inquadrare il passo: l’io narrante, che si muove solipsisticamente in un mondo in cui tutti gli uomini sono svaniti nel nulla, immagina una scena apocalittica in cui l’umanità viene radunata innanzi al “monte Armageddon”, al cospetto degli angeli sterminatori.) “A piè del monte, due serpi loricate strisciano sibilando e buttando fuoco. E ognuna sulle scaglie ha una scritta, e su una si legge: Advertising, e sull’altra: Marketing. Beh,...

La ricreazione è finita

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Ho lasciato il mondo accademico cinque anni fa e fino a oggi nessun pentimento. Cosa ne ho guadagnato? Sicuramente tempo (e il tempo è vita) e salute. Il motivo alla base della mia scelta è semplice: non mi sentivo adeguato a quel mondo, soprattutto a causa della mia pigrizia e della mia scarsa resistenza allo stress. Leggere questo romanzo è stato come tornare a quel periodo. Nella nota dell’autore, Dario Ferrari scrive che la vicenda è irreale ma (spera) non irrealistica. In effetti, ho avuto modo di riconoscere alcuni “tipi accademici”: non tanto nei professori/baroni quanto negli studenti/dottorandi/assistenti/servidellagleba che animano la storia. Che effetto mi ha fatto ritornare a quel mondo? Non mi ha lasciato indifferente, alcune parti mi hanno emozionato, ma per fortuna non sono riaffiorati eventuali traumi (forse perché, in effetti, per me non è stato così traumatico… e per fortuna, mi vien da dire). Ma il libro di che parla? Molti di voi già lo avranno letto, visto che non ...

Il paradosso della bontà

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È da un bel po’ che non pubblico delle note di lettura. Rimedio segnalando una delle più interessanti letture di questo anno: “Il paradosso della bontà” di Richard Wrangham. Per quanto mi riguarda potrebbe essere una lettura da affiancare a “Genealogia della morale” di Nietzsche (oltre alle tesi sulla natura umana di Rousseau e Hobbes)… ma a parte questo, si tratta di un libro che aiuta a capire anche il mondo in cui viviamo. Wrangham si concentra sulla natura complessa e contraddittoria dell'essere umano, che è frutto di un lungo processo evolutivo che ha plasmato comportamenti sia altruistici che violenti. Secondo l'autore, la nostra psicologia e le nostre inclinazioni sociali si sono sviluppate attraverso un'inedita combinazione di selezione naturale, cambiamenti ambientali e innovazioni cognitive, come l'introduzione del linguaggio. In particolare, l'autore sostiene che l'evoluzione dell'uomo ha visto una progressiva diminuzione dell'aggressività rea...

22.11.63

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"Ora capivo più cose, ma questo ancora non mi aiutava nella decisione che dovevo prendere". 22.11.63 racconta la storia di Jake Epping, un anonimo professore di letteratura inglese, la cui vita non è tanto diversa dalla nostra. Piccole delusioni personali, un gatto che gli fa compagnia, una moglie che se ne è andata. Non è di certo un eroe del nostro tempo. Ma un giorno il nostro professore scopre una porta temporale che lo porterà dal 2011 al 1958. E qui avrà modo di cambiare il corso della storia (tra gli eventi che intende modificare, perché ce n'è più di uno, spicca l'assassinio di J.F. Kennedy). Ma a quale prezzo? Dunque, dunque, dunque. Questo romanzo di Stephen King è semplicemente meraviglioso. Il migliore tra i sette che sinora ho letto di King (la lista include: Shining, Misery, IT, La zona morta, Christine, Pet sematary), anche se Shining rimane il mio preferito in quanto è il primo ad avermi folgorato. Se dovessi banalizzare la storia con una formuletta, d...

L’inverno del nostro scontento

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Questo romanzo non è il migliore di Steinbeck (difficile superare le vette di “Furore” e della “Valle dell’Eden”), ma è comunque una chicca che supera gran parte della roba che ho letto ultimamente. Se in “Furore” Steinbeck descrive la nostra società con lo sguardo degli “ultimi”, i quali sono costretti a una vita alienata che non permette loro di essere pienamente umani (anche se vi sono sempre dei margini, dei piccoli spazi in cui la loro umanità emerge, attraverso semplici gesti e parole); ne “L’inverno del nostro scontento” lo sguardo non è rivolto verso gli ultimi, bensì verso quella gente “di mezzo” nella quale la gran parte di noi si trova: la piccola-media borghesia. Qui si coglie un diverso tipo di alienazione che non è slegata dalla prima, e che consiste nel senso di fallimento che costantemente accompagna la nostra vita. Il senso di non avercela fatta, di essere rimasti indietro rispetto agli obiettivi che abbiamo interiorizzato, il senso di precipitare verso il basso, appun...

Crossroads

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Non credevo avrei più scritto alcuna nota sui romanzi che leggo. Non credevo avrei scritto più alcuna nota su un romanzo di Franzen, dopo la delusione di "Purity". Invece, eccomi qua. Non si tratta di una vera e propria nota, ma semplicemente una segnalazione. Ho letto l'ultima fatica di Franzen, "Crossroads" (Einaudi, 629 pp.), in pochi giorni. Non mi capitava da tantissimo tempo di trovarmi tra le pagine di un libro in ogni momento libero della giornata (e della notte). Franzen ce l'ha fatta di nuovo (dopo "Le correzioni" e "Libertà") a scrivere una storia magnetica. La tipologia, se così si può dire, è sempre quella: un romanzo famigliare, in cui i legami tra i vari componenti (genitori e figli) sono sottoposti alla dura prova del tempo e di tutto ciò che fa fluire il tempo umano: passioni, egoismi, progetti, desideri, cedimenti. Ne esce anche un interessante spaccato della provincia americana degli anni '60-'70, pervasa da un ...