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La ricreazione è finita

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Ho lasciato il mondo accademico cinque anni fa e fino a oggi nessun pentimento. Cosa ne ho guadagnato? Sicuramente tempo (e il tempo è vita) e salute. Il motivo alla base della mia scelta è semplice: non mi sentivo adeguato a quel mondo, soprattutto a causa della mia pigrizia e della mia scarsa resistenza allo stress. Leggere questo romanzo è stato come tornare a quel periodo. Nella nota dell’autore, Dario Ferrari scrive che la vicenda è irreale ma (spera) non irrealistica. In effetti, ho avuto modo di riconoscere alcuni “tipi accademici”: non tanto nei professori/baroni quanto negli studenti/dottorandi/assistenti/servidellagleba che animano la storia. Che effetto mi ha fatto ritornare a quel mondo? Non mi ha lasciato indifferente, alcune parti mi hanno emozionato, ma per fortuna non sono riaffiorati eventuali traumi (forse perché, in effetti, per me non è stato così traumatico… e per fortuna, mi vien da dire). Ma il libro di che parla? Molti di voi già lo avranno letto, visto che non ...

Il paradosso della bontà

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È da un bel po’ che non pubblico delle note di lettura. Rimedio segnalando una delle più interessanti letture di questo anno: “Il paradosso della bontà” di Richard Wrangham. Per quanto mi riguarda potrebbe essere una lettura da affiancare a “Genealogia della morale” di Nietzsche (oltre alle tesi sulla natura umana di Rousseau e Hobbes)… ma a parte questo, si tratta di un libro che aiuta a capire anche il mondo in cui viviamo. Wrangham si concentra sulla natura complessa e contraddittoria dell'essere umano, che è frutto di un lungo processo evolutivo che ha plasmato comportamenti sia altruistici che violenti. Secondo l'autore, la nostra psicologia e le nostre inclinazioni sociali si sono sviluppate attraverso un'inedita combinazione di selezione naturale, cambiamenti ambientali e innovazioni cognitive, come l'introduzione del linguaggio. In particolare, l'autore sostiene che l'evoluzione dell'uomo ha visto una progressiva diminuzione dell'aggressività rea...

22.11.63

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"Ora capivo più cose, ma questo ancora non mi aiutava nella decisione che dovevo prendere". 22.11.63 racconta la storia di Jake Epping, un anonimo professore di letteratura inglese, la cui vita non è tanto diversa dalla nostra. Piccole delusioni personali, un gatto che gli fa compagnia, una moglie che se ne è andata. Non è di certo un eroe del nostro tempo. Ma un giorno il nostro professore scopre una porta temporale che lo porterà dal 2011 al 1958. E qui avrà modo di cambiare il corso della storia (tra gli eventi che intende modificare, perché ce n'è più di uno, spicca l'assassinio di J.F. Kennedy). Ma a quale prezzo? Dunque, dunque, dunque. Questo romanzo di Stephen King è semplicemente meraviglioso. Il migliore tra i sette che sinora ho letto di King (la lista include: Shining, Misery, IT, La zona morta, Christine, Pet sematary), anche se Shining rimane il mio preferito in quanto è il primo ad avermi folgorato. Se dovessi banalizzare la storia con una formuletta, d...

L’inverno del nostro scontento

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Questo romanzo non è il migliore di Steinbeck (difficile superare le vette di “Furore” e della “Valle dell’Eden”), ma è comunque una chicca che supera gran parte della roba che ho letto ultimamente. Se in “Furore” Steinbeck descrive la nostra società con lo sguardo degli “ultimi”, i quali sono costretti a una vita alienata che non permette loro di essere pienamente umani (anche se vi sono sempre dei margini, dei piccoli spazi in cui la loro umanità emerge, attraverso semplici gesti e parole); ne “L’inverno del nostro scontento” lo sguardo non è rivolto verso gli ultimi, bensì verso quella gente “di mezzo” nella quale la gran parte di noi si trova: la piccola-media borghesia. Qui si coglie un diverso tipo di alienazione che non è slegata dalla prima, e che consiste nel senso di fallimento che costantemente accompagna la nostra vita. Il senso di non avercela fatta, di essere rimasti indietro rispetto agli obiettivi che abbiamo interiorizzato, il senso di precipitare verso il basso, appun...

Crossroads

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Non credevo avrei più scritto alcuna nota sui romanzi che leggo. Non credevo avrei scritto più alcuna nota su un romanzo di Franzen, dopo la delusione di "Purity". Invece, eccomi qua. Non si tratta di una vera e propria nota, ma semplicemente una segnalazione. Ho letto l'ultima fatica di Franzen, "Crossroads" (Einaudi, 629 pp.), in pochi giorni. Non mi capitava da tantissimo tempo di trovarmi tra le pagine di un libro in ogni momento libero della giornata (e della notte). Franzen ce l'ha fatta di nuovo (dopo "Le correzioni" e "Libertà") a scrivere una storia magnetica. La tipologia, se così si può dire, è sempre quella: un romanzo famigliare, in cui i legami tra i vari componenti (genitori e figli) sono sottoposti alla dura prova del tempo e di tutto ciò che fa fluire il tempo umano: passioni, egoismi, progetti, desideri, cedimenti. Ne esce anche un interessante spaccato della provincia americana degli anni '60-'70, pervasa da un ...

Il vento selvaggio che passa

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Qualche giorno fa ho finito di leggere "Il vento selvaggio che passa", il penultimo romanzo di Yates, pubblicato in USA nel 1984, e uscito in Italia solo quest'anno per i tipi di Minimum fax. Il romanzo presenta i soliti temi yatesiani: la solitudine, la rivolta artistica alla vita borghese, il fallimento (della vita borghese, ma anche della rivolta artistica), l'abbandono e l'impotenza. In particolare, qui si percepisce un'idea che deve aver ossessionato Yates lungo tutto il corso della sua vita: la mancanza di talento. In effetti, dopo che ebbe pubblicato "Revolutionary Road", Yates non riuscì più a scrivere un romanzo che fosse all'altezza di questo incredibile esordio. Così, anche il protagonista de "Il vento selvaggio che passa", Michael Davenport, è uno scrittore (poeta) che non riesce a superare il suo primo componimento (intitolato "Vuotare il sacco"); intanto gli anni passano, Michael cade diverse volte, perde amici e...

Gli incendiari

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In questi giorni di "quarantena" ho potuto ritagliare del tempo per me stesso e finalmente ho completato la lettura di un romanzo. Un romanzo ben scritto, gradevole, che ho divorato in pochi giorni. Un romanzo di R.O. Kwon, una scrittrice di origini coreane trapiantata negli USA. La storia non è originalissima e ho avuto più volte la sensazione di deja-vù (mi è sembrato di trovare un sacco di topoi già visti). Ma rimane comunque una storia piacevole, che vede due protagonisti ventenni: un ragazzo (Will) e una ragazza (Phoebe) uniti da un legame amoroso, che finiscono col "perdersi" (non specifico in che senso) a causa del susseguirsi di alcuni eventi (che non sto a rivelare per non rovinarvi la lettura). Dico solo che la vicenda si svolge all'ombra di una setta religiosa che finirà per condizionare le scelte dei due protagonisti e che metterà in luce la fragilità dei legami (parentali e amorosi); fragilità che dipende anche dai guasti (o se preferite, "trau...