Gli incendiari


In questi giorni di "quarantena" ho potuto ritagliare del tempo per me stesso e finalmente ho completato la lettura di un romanzo. Un romanzo ben scritto, gradevole, che ho divorato in pochi giorni. Un romanzo di R.O. Kwon, una scrittrice di origini coreane trapiantata negli USA. La storia non è originalissima e ho avuto più volte la sensazione di deja-vù (mi è sembrato di trovare un sacco di topoi già visti). Ma rimane comunque una storia piacevole, che vede due protagonisti ventenni: un ragazzo (Will) e una ragazza (Phoebe) uniti da un legame amoroso, che finiscono col "perdersi" (non specifico in che senso) a causa del susseguirsi di alcuni eventi (che non sto a rivelare per non rovinarvi la lettura). Dico solo che la vicenda si svolge all'ombra di una setta religiosa che finirà per condizionare le scelte dei due protagonisti e che metterà in luce la fragilità dei legami (parentali e amorosi); fragilità che dipende anche dai guasti (o se preferite, "traumi") che, inesorabilmente, contribuiscono alla elaborazione della nostra personalità.

Rinuncio ad analizzare l'intero romanzo, per soffermarmi su una sola pagina. A un certo punto Will viene a conoscenza delle relazioni passate di Phoebe e ne rimane turbato. Credo che questo tipo di rivelazione abbia scosso tutti noi almeno una volta nella vita. Una cosa sciocca, certo. Perché lasciare che eventi passati inquinino la felicità presente? Beh, Will ci suggerisce questo:

"Io non potevo evitare di immaginare tutte quelle mani unte che, come impronte di stelle marine, macchiavano la sua pelle"

Non avevo mai pensato alle "storie passate" in questi termini. Questa immagine mi ha portato a considerare l'ipotesi che ci sia un legame tra la gelosia e il pericolo di un contagio. Forse è già stato messo in luce da altri, o forse questa idea è del tutto scema, ma le cose potrebbero stare così: alcuni studiosi di antropologia cognitiva (penso a Boyer e Liénard) sono dell'idea che esista un modulo nel nostro cervello (chiamato "Hazard-Precaution System") la cui funzione è quella di metterci all'erta di fronte a pericoli di diverso tipo (in primis gli attacchi di nemici intra o extra-specifici), compreso il pericolo di un contagio (ebbene sì, siamo programmati ad aver paura di possibili contagi e contaminazioni... e questo spiega il clima isterico di questi giorni). È come se girasse un programma nella nostra testa che continua ad elaborare i dati percettivi al fine di dare risposta (si/no) a questa domanda: "C'è un pericolo?". L'utilità di questo modulo ai fini della nostra sopravvivenza è evidente. Ma il suo modo di funzionare non è sempre preciso: spesso va in overdrive ed esagera nel rilevare pericoli anche là dove non ce ne sono. Anche in questo caso, è possibile rilevare una utilità: meglio eccedere con la prudenza, che esserne in difetto, secondo la massima "Better safe than sorry". Questa esagerazione conduce a effetti secondari, tra cui, secondo Boyer e Liénard, quello di originare il fenomeno religioso (ma questo è un altro discorso, che non affronterò qui). Ebbene, mi chiedo se la gelosia, ossia quel senso di inquietudine e malessere (e a volte nausea) che ci coglie quando immaginiamo/vediamo il nostro partner trattenere rapporti intimi con altre persone, non sia dovuto all'operare indebito di questo "Hazard-Precaution System"; come se avvertissimo (in modo inconsapevole) segni di contagio o contaminazione sulla pelle del nostro partner (le "impronte di stelle marine" di cui parla Will). Ripeto, è una ipotesi che mi è venuta leggendo quel breve passo; magari è fuffa, ma magari c'è margine per fare qualche ricerca.


(01/03/2020)

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