Frattura (come trovare bellezza nelle cose rotte)


Questo libro (scritto da un autore argentino che vive in Spagna) non mi ha del tutto convinto. Si tratta di una storia semplice e allo stesso ambiziosa. Ambiziosa, perché queste pagine mettono insieme diverse visioni del mondo: quella giapponese (del protagonista, Yoshie Watanabe) e quelle nord- e sud-americana ed europea; semplice, perché le vicende narrate non presentano chissà quali sperimentazioni narrative (al di là di un interessante modo di strutturare il romanzo).

L'idea alla base del romanzo è la seguente: raccontare la storia di un sopravvissuto alla bomba atomica sganciata dagli americani su Nagasaki nel 1945 giungendo sino al presente, con particolare riferimento al disastro di Fukushima. I capitoli si alternano presentando diversi punti di vista: da un lato abbiamo Yoshie, il quale rientra in Giappone dopo aver vissuto per quasi tutta la vita all'estero. Egli deve fare i conti con un passato dal quale credeva di essere fuggito, ma che lo ha sempre accompagnato nella forma del trauma: il disastro atomico. Dall'altro lato, il passato di Yoshie (dalla giovinezza alla vecchiaia) è ricostruito a partire dal racconto delle donne con cui ha vissuto (sono quattro le donne: una francese, una statunitense, una argentina, una madrilena); un punto di vista che comprende anche le città che nei decenni lo hanno ospitato (Parigi, New York, Buenos Aires, Madrid).

L'immagine chiave che dà struttura alla syoria è quella delle "cose rotte" che ritornano in vita attraverso la tecnica del kintsugi ("Il kintsugi, o kintsukuroi, letteralmente 'riparare con l'oro', è una pratica giapponese che consiste nell'utilizzo di oro o argento liquido o lacca con polvere d'oro per la riparazione di oggetti in ceramica, usando il prezioso metallo per saldare assieme i frammenti", fonte: Wikipedia). In questo caso, a dover essere "riparata" è l'anima di Yoshie, il quale sconta il trauma di aver perduto i propri famigliari dopo la distruzione di Nagasaki e di essere sopravvisuto a loro senza alcun merito.

"Passi anni a costruire cerimoniali su misura con qualcuno, finché sei costretto a riconoscere che in realtà quel qualcuno non ti piace più. Che sei innamorata del rito. Ma sei incapace di separarti. E dedichi il resto della tua vita a coltivare il rituale perfetto con la persona sbagliata".

Queste sopra riportate, sono le parole di Lorrie, una giornalista newyorkese. Forse perché non ha una personalità "integra" (ricordiamocelo: Yoshie è un uomo a pezzi, per quanto possa apparire tutto d'un pezzo, un uomo che ha saputo costruire la propria fortuna nel mondo), il protagonista tende ad abbandonare quelle situazioni (quei rituali) che lo immobilizzano entro una forma di vita definita. Per questo è in grado di dire addio alle sue amanti (quando l'amore inizia a "scadere") e cambiare diversi mondi culturali e dunque i diversi filtri attraverso i quali osservare l'esistenza. Queste "fughe" sembrano rispondere al tentativo di trovare la bellezza nelle cose rotte di cui sopra; ma a differenza del kintsugi, il quale rende un oggetto solido da tenere tra le mani e contemplare, nel caso dell'esistenza abbiamo a che fare con qualcosa di inafferrabile (appunto: sfuggevole).

Dunque, cosa non mi ha convinto di questo romanzo? Principalmente questo: nonostante si dia ampio spazio alle ossessioni di Yoshie (o meglio, all'unica sua ossessione: il disastro nucleare, sul quale le sue riflessioni abbondano in modo eccessivo), il protagonista rimane un personaggio opaco. Non bastano le 400 pagine di questa storia a restituirci una persona con la quale empatizzare, o quanto meno da "comprendere" (o forse sarebbe più corretto dire: "compatire"). Rimane comunque un romanzo gradevole, che si legge velocemente. Inoltre, è interessante la ricostruzione della storia delle diverse parti del mondo che Yoshie, di volta in volta, attraversa: la Parigi (ancora bohémienne) degli anni Cinquanta-Sessanta, gli Stati Uniti degli anni Sessanta-Settanta (con la lotta per i diritti civili), l'Argentina della dittatura, la Spagna post-franchista, fino a giungere al Giappone contemporaneo. Lo consiglio? Non so, fate voi.


(19/07/2019)

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